Materiali superconduttori ad alta temperatura. Una pastiglia di un nuovo materiale levita su un magnete per effetto Meissner Processo di saldatura di aste di perforazione petrolifera con laser ad anidride carbonica Misure di conducibilità e diffusività termica nei materiali mediante sonde di Maxwell Interferometria olografica applicata alla diagnosi di imperfezioni nei beni artistici Forno per prove di corrosione su materiali per componenti di impianti che operano ad alta temperatura in condizioni aggressive Telerilevamento di inquinanti atmosferici mediante sistema mobile LIDAR-DIAL
Il Laboratorio di Fisica Nucleare. L’acceleratore Cockcroft e Walton da 400 keV
Veduta di insieme del Laboratorio di Elettronica
Tecnici al lavoro nel Laboratorio di Chimica di Segrate

Le origini del CISE : l'inizio di una storia


La guerra era appena terminata e l'Italia tutta da ricostruire, proprio come oggi. Il fungo atomico aveva appena mietuto le sue vittime e ne era ancora vivo l'orrore, ma tutti sapevano che l'energia contenuta in quel fungo, se usata nel giusto modo, poteva essere fonte di benessere.
Qualcuno decise che era opportuno migliorare le conoscenze sull'uso dell'energia nucleare a scopi pacifici raccogliendo documentazione e compiendo studi sull'argomento: fu così che nacque il Centro, una piccola entità finanziata da industrie dell'epoca e costituita da cervelli, ricercatori in erba e garzoni.
Erano tre categorie di persone ben distinte, ma tutte insieme formavano una grande famiglia, un miscuglio armonico e perfettamente omogeneo che operava in condizioni disagiate ma con volontà, impegno ed anche allegria.
Oggi, di ciò che accadde in quegli anni, rimangono i documenti ufficiali e tante storie tramandate oralmente che non si capisce bene se coincidano con la realtà o se, a volte, sconfinino nella fantasia.
Il Centro divenne adulto e trovò, all'inizio degli anni 60, una sua collocazione dignitosa alle porte di Milano.
Adagiato fra campi di mais e frumento e circondato da acque che cominciavano a puzzare di progresso e di benessere, il Centro era piacevolmente carezzato dal sole nei mesi estivi e costantemente avvolto nella nebbia in quelli invernali.
Ben recintato e protetto dai pericoli esterni si sviluppava in sei palazzine parallele collegate tra loro da un corridoio centrale che le tagliava esattamente a metà: tutte le palazzine che ospitavano uffici e laboratori erano a piano terra mentre quella della direzione era una costruzione a due piani.
Al secondo piano trovava spazio l’ufficio del nuovo direttore, da tutti denominato "Il sole", causa lo splendore abbagliante che irradiava ad ogni suo passaggio e per il quale i dipendenti del Centro erano costretti ad abbassare lo sguardo quando lo incrociavano nei corridoi.
Dal suo ufficio osservava, di tanto in tanto e forse con rimpianto, l'ultima palazzina collocata nella parte occidentale, dalla quale si era staccato per inerpicarsi su percorsi sempre più difficili e impegnativi.
Tutte le mattine, un esercito di circa 250 persone, quanti erano i dipendenti di allora, varcava l'ingresso del Centro davanti agli occhi attenti e vigili delle guardie che, dopo aver consegnato ad ognuno la propria targhetta di riconoscimento, auguravano il buon giorno; alla sera si ripeteva l'operazione in senso opposto.
Di notte il Centro, anche se in mezzo alla campagna, non veniva abbandonato a se stesso ma era custodito da guardie accompagnate da cani ben addestrati, che percorrevano ininterrottamente uffici, laboratori e corridoi.

Ancora oggi si tenta invano di stabilire se, nei loro giri notturni, mostrassero più coraggio le guardie o i cani.
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